intervista danila de stefano founder unobravo

Chi è Danila De Stefano?

Danila è founder e CEO di Unobravo. Napoletana, classe 1992, si è laureata in Psicologia Clinica all’Università “La Sapienza” di Roma ed ha fondato la sua startup innovativa di psicologia online, nata con l’obiettivo di rendere la psicologia più accessibile per tutti grazie alla tecnologia dopo un’esperienza di lavoro nel Regno Unito.

È stata inserita tra gli under 30 2021 di Forbes Italia nella categoria Healthcare ed è attiva come public speaker sui temi di innovazione, leadership, imprenditoria femminile e psicologia. Danila aveva iniziato a lavorare in alcune cliniche psichiatriche inglesi, e dopo qualche mese aveva avuto la necessità di rivolgersi ad uno psicologo per cercare di affrontare le difficoltà che stava vivendo.

Da quella prima esigenza nasce l’idea di rendere questo processo più accessibile per tutti quelli che, come lei, avevano vissuto la stessa difficoltà nel trovare un supporto psicologico online. Durante il 2020 Unobravo ha chiuso un primo investimento da 150mila euro e ha vinto il concorso per imprenditrici lanciato da Chiara Ferragni e Pantene, con LVenture Group, ricevendo un premio da 75 mila euro.

È in questa occasione che leggo per la prima volta di Unobravo sui giornali online che seguo, ed è per questo che mi salta agli occhi immediatamente quando vedo comparire il dominio Unobravo tra i clienti di SEO Tester Online. Inoltre, come avrete capito, questo libro parla tanto di ciò che un founder ha dentro, quindi mi sembrava fantastico dare voce al founder di una startup totalmente immersa in questo contesto, a maggior ragione essendo donna.

Cosa significa fare startup per Danila De Stefano?

Solitamente quando si pensa alle startup ci si immagina sviluppatori, marketer, ingegneri, e invece no. Ci sono moltissimi founder che nascono da un percorso di tipo umanistico o dall’ambito medico come Danila.

G: «Che effetto fa avere intrapreso un percorso in psicologia, ed essere finita nel mondo delle startup, non proprio il più scontato dopo un percorso come il tuo?».

D: «Quando ho iniziato a lavorare alla mia idea, nel 2019, avevo solamente un sito artigianale e un piccolo gruppo di professionisti che avevano iniziato a erogare le sedute di terapia che stavo sponsorizzando con qualche spicciolo e tanta buona volontà. Ho scoperto il mondo delle startup navigando in rete, ne sono subito rimasta affascinata e così ho intuito che il progetto che stavo costruendo era proprio una startup: prima “l’ho fatto” e dopo ho capito che nome aveva.».

G: «Quindi fare startup ti piace?».

D: «Altro che… Anzi, proprio il fare startup mi ha dato la possibilità di capire cosa mi piace fare. Non sapevo di voler fare l’imprenditrice finchè, attraverso quello che è nato come un esperimento, ho trovato un ruolo che mi calza a pennello. L’esperienza startup di Unobravo mi ha dato tanta fiducia in me stessa, la possibilità di aprire i miei orizzonti e di mettermi alla prova, l’opportunità di conoscere e capire le logiche di business. Mi ha dato inoltre la soddisfazione di raggiungere risultati concreti e di avere successo.».

G: «E non hai dovuto rinunciare a niente per seguire questo percorso?».
D: «Si può fare startup in tanti modi: il mio è “o tutto o niente”. Fare startup con “tutto” spesso significa rinunciare al tempo libero, ai weekend, ai viaggi e alla spensieratezza. È una cosa bella, ma nella pratica risulta un bel po’ innaturale: oggi sento di avere meno “sprint” rispetto all’inizio e le giornate si ripetono seduta alla scrivania. Prima di avviare questa startup amavo vivere esperienze sempre diverse: outdoor, viaggi, tempo con amici. La mia nuova quotidianità, che vivo da circa due anni e mezzo, è scandita da numerose attività che mi lasciano poco tempo libero da dedicare a me stessa, perchè metto tutta la mia concentrazione e motivazione sul lavoro. Ma, nonostante tutto, mi sento orgogliosa e riconoscente per il presente.».

Queste parole mi suonano dannatamente familiari. “O tutto o niente”, “poco tempo libero da dedicare a me stessa” “nonostante tutto mi sento orgogliosa e riconoscente”. Mi torna tutto.

D: «Chi mi segue sui social vede premi, interviste, podcast, inviti di ogni tipo, post per festeggiare i 10.000 pazienti, o i successivi 20.000, oppure le 200.000 sedute e, ancora, foto della festa per i due anni di attività. Proprio come per un follower che segue un’influencer, tutto appare sempre bello. Ma fare startup può farti cambiare e diventare un’altra persona: dipende molto da come sei. A volte le persone hanno anche cose in contrasto tra loro che convivono nella stessa psiche. Io, ad esempio, posso essere una persona che ama viaggiare e riposarsi con gli amici, e avere allo stesso tempo un forte senso di responsabilità che mette in secondo piano l’amore per i viaggi e il relax davanti a un mio progetto imprenditoriale.».

G: «E non credi che a furia di vivere in questo modo ci tiriamo addosso giusto un po’ troppo stress?».

Lo dico a Danila, ma faccio come se stessi dicendo queste parole anche a me stesso e un po’, tra l’altro, anche a voi.

D: «Chiaramente questo aspetto può diventare deleterio se estremizzato. In una realtà veloce come una startup che vuole fare scale up, “estremizzare” è molto probabile. Mantenere un equilibrio personale mentre si fa un’esperienza “in corsa”, dove non ci si riposa mai, non è per niente facile! Io non sempre ci riesco ed è importante non sottovalutare i primi segnali e i campanelli che iniziano a suonare nei momenti di stress.».

Ci penso e le faccio una domanda che mi frulla nella testa ogni tanto.

G: «Ma, secondo te, non potremmo fare tutto con più calma?».
D: «Certo che sì…».

A questo punto sento una sorta di pace dentro, solo ad immaginare un po’ di relax e la prima cosa che penso è “sono un idiota… Ed io che ho sempre preso questa vita come una maledetta corsa ad ostacoli a tempo!”

D: «…Ma se tra cinque mesi arriva un nuovo competitor dagli USA con qualche miliardo in dotazione pronto a copiare il tuo modello di business, che si fa? Si perde la corsa!».

Ecco, sapevo che doveva esserci la fregatura! Tornano i soliti pensieri di sempre, gli stessi di cui parla Danila. Allora le faccio un’altra domanda.

G: «Ma davvero credi che, lavorando senza giorni off per quei cinque mesi, un competitor non avrà il sopravvento lo stesso grazie ai miliardi in più e alla maggiore esperienza?».

D: «Probabilmente non hai torto, potrebbe accadere comunque, ma non è detto. Lo sai bene anche tu, la pressione di avere sempre un competitor dietro l’angolo è uno dei motivi che spinge noi founder a non fermarci mai e puntare sempre più in alto, anche a scapito di tante cose. La paura di perdere una cosa guadagnata con tanta fatica, come una leadership di mercato ad esempio, può non abbandonarci mai. E quindi eccoci lì, pronti a chiudere nuovi round di investimenti, ad aprire altri quattro mercati contemporaneamente e tre nuove revenue streams. Una passeggiata per la Coca-Cola, ma per una piccola startup significa indubbiamente “sacrifici”.

Paura, sacrificio, affanno… Mi ritrovo in tutto, ma la cosa peggiore è che mi torna anche l’impossibilità di fare a meno di tutto questo, di tutta l’adrenalina che questa condizione si porta con sé. Così chiedo un consiglio per me e per voi che, visto che siamo un po’ in tema, non potete che avere bisogno di uno bravo per pensare che tutto questo sia fantastico, nonostante tutto.

G: «Danila, quale consiglio daresti a chi sta attraversando un percorso da founder come il tuo, magari proprio a partire da un background che ha meno a che fare con il business o con la programmazione?».

D: «Il mio consiglio è quello di imparare a usare bene i numeri. L’istinto e l’intuito vanno benissimo, ma se i numeri “non girano” le cose devono cambiare e, se si cambiano in tempo, ce la si può ancora fare. Se io non avessi imparato le regole basilari di un business, oggi non sarei qui, indipendentemente dall’intuito, dall’idea e dall’istinto.».

G: «E allora dimmi quali sono le 3 qualità che deve avere un founder perfetto secondo te».

D: «Essere un ladro di competenze, flessibile e creativo».

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